FTIM-2007 - IMMAGINI dell'INVISIBILE - Un itinerario ed un iNcontro nella Bellezza originaria

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FTIM-2007

Convegni
Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale S. Tommaso D'Aquino 2007
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Incontro dell'iconografo Angelo Vaccarella
con gli studenti sul tema:
l'icona: Immagine dell'Invisibile - Un itinerario ed un incontro nella bellezza originaria
Mediatore: Mons. Salvatore Esposito
Docente di Teologia Liturgica
Direttore dell'Ufficio Liturgico Pastorale della Arcidiocesi di Napoli
Prefetto degli Studi all'Istituto Diocesano per l'Iniziazione ai Ministeri
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Di seguito è riportata una breve sintesi dell'incontro:

1. Introduzione
2. Origine e sviluppo dell'icona
3. Fondamento Biblico e Dogmatico dell'icona
4. L'icona nella vita quotidiana
5. L'icona nella vita della Chiesa
6. I canoni dell'icona e il loro scopo
7. Lettura di un'icona: Natività di nostro Signore Gesù Cristo

(Brevissima presentazione ed esperienza dell'iconografo)

Introduzione:

Oggi c'è un grande interesse per le icone, per la loro storia, per il loro significato simbolico, per la tecnica usata. Il termine "icona" deriva dalla parola greca "eikòn", che significa "immagine" e l'iconografo è colui che dipinge icone o per essere più precisi, "colui che scrive icone". L'iconografo non firma mai le sue icone, ma al termine del suo lavoro, dovrà annullarsi davanti a ciò (davanti a Colui) che lo sovrasta e lo interroga personalmente.

Possiamo dire che l'icona è un'arte teologica, perché "annuncia" attraverso i colori ciò che la Sacra Scrittura "annuncia" con la parola: "l'immagine visibile del Dio invisibile" (Col. 1,15).

L'icona è l'annuncio della "Buona notizia" : "Cristo è risorto dai morti!" e riflette il suo Volto sul volto di ogni uomo perché, dicono i Padri, "c'è un solo uomo" e quindi un solo volto: quello di Gesù Cristo che si rivela nei suoi santi.

Ecco perché i "volti" delle icone sono sempre belli e gioiosi, perché sono volti trasfigurati dallo Spirito, che manifestano il rapporto reale che esiste tra la Rivelazione divina e la vita di ogni uomo.

L'icona è una esperienza spirituale, ma anche - afferma il teologo ortodosso Boris Bobrinskoy, decano dell'Istituto Saint Serge di Parigi - è sacramento della divinità e umanità del Cristo. Dopo che il Verbo divino ha assunto carne e materia nell'incarnazione, dopo che queste realtà sono state trasfigurate nella luce della risurrezione, dopo infine che sono state chiamate a partecipare della vita divina nell'ascensione, il linguaggio e l'arte umana .... possono diventare capaci di tradurre per i nostri sensi umani e per la nostra intelligenza la presenza della Trinità divina in se stessa e nei suoi santi.

L'icona acquista così una realtà sacramentale perché non solo riflette la gloria del regno, ma ne contiene l'energia vivificante, e questo attraverso i secoli e per sempre. Essa potremmo dire quindi che è "carismatica", essendo carica dell'energia vivificante dello Spirito.

La grazia di Dio non disdegna di fissarsi e di manifestarsi nel prodotto più bello dell'arte e della preghiera umana - "La Bellezza salverà il mondo" (Dostoevshij).

Un'altra dimensione della sacramentalità dell'icona, è la sua funzione "mediatrice" nella preghiera. L'uomo stesso è un essere sacramentale per natura e ha bisogno del veicolo dei sacramenti per raggiungere la comunione con l'Invisibile. Per il tramite dell'icona s'instaura una vera relazione tra il credente e il mistero rappresentato.

Per concludere ricordiamo che l'icona è inseparabile dalla parola viva di Dio, che traduce in linguaggio di bellezza e di luce al di là delle parole.
Origine e sviluppo dell'icona:

Questa pittura destinata alla venerazione si è affermata nella prima metà del V secolo con l'arrivo a Costantinopoli (Istanbul) dell'immagine della Vergine col Bambino (Odighìtria), attribuita a San Luca. Non sappiamo se San Luca abbia mai dipinto una o più immagini della Vergine, ma è l'unico evangelista a darci la prima icona "verbale" di Lei attraverso tanti particolari che ci forniscono una sorta di ritratto interiore di Maria.

Ma prima di esaminare l'arte vera e propria dell'icona, una breve retrospettiva ci permetterà di coglierne meglio l'evoluzione. L'icona nasce in una nuova cultura (Bisanzio), continuazione dell'impero romano in Oriente, e la pittura di icone è la forma artistica che fiorì attraverso tutto il suo immenso territorio. La vittoria di Costantino su Massenzio nel 312, attribuita al Dio dei cristiani, permette a questi ultimi di acquistare piena libertà di culto e la loro religione di fare la sua comparsa sulla scena del mondo. L'arte cristiana esce dalle catacombe.

Durante i primi secoli infatti si era sviluppata una forma primitiva di arte cristiana. Nelle catacombe di Roma la pittura aveva adottato un linguaggio di simboli, per racconti del VT e per una nuova interpretazione cristiana di immagini pagane. A d esempio il "pesce", dal greco "ichthùs", che per i pagani simboleggiava la fecondità, per i cristiani, rappresentava la formula del Credo; infatti nelle lettere che formano il termine "pesce", in greco "i-ch-th-ù-s", sono raccolte le iniziali dell'antica formula di professione di fede: "Gesù-Cristo-Figlio di Dio-Salvatore". Così anche la "nave", simbolo pagano del viaggio di trapasso delle anime verso l'aldilà, è per i cristiani il simbolo della Chiesa. Ma i cristiani non si limitarono a trasporre dei simboli esistenti, ma ne inventarono dei nuovi specialmente a partire dal II secolo. L'adorazione dei magi allude all'ammissione dei pagani alla fede, la moltiplicazione dei pani al banchetto eucaristico, la vigna al mistero di Dio tra i battezzati e così via.
Costantinopoli venne fondata nel 330 come la nuova Roma. A quel tempo c'erano già grandi centri culturali quali Roma, Alessandria, Antiochia ed Efeso.

Con il IV e V secolo l'arte bizantina aveva raggiunto la sua "prima età dell'oro" che culminò con il capolavoro architettonico dell'imperatore bizantino, la Chiesa della Aghia Sophia (Santa Sofia) a Costantinopoli. La Vergine Maria fu proclamata Theotokos o Madre di Dio durante il concilio di Efeso, successivamente, all'inizio del VII secolo Ella divenne la protettrice di Costantinopoli, inaugurando così un importante culto fortemente connesso con la venerazione delle icone.

A partire dal regno di Giustiniano I (527-565), ultimo grande imperatore romano, chiamato "età dell'oro", il mondo bizantino assume la sua forma definitiva, ben distinta dal mondo romano e l'icona acquista così l'armonia e la grazia proprie dell'oriente cristiano.

L'icona dunque nasce in una nuova cultura (Bisanzio), ma è in qualche modo il risultato di una sintesi delle culture ellenica, romana e cristiana.

L'evoluzione dell'arte bizantina veniva interrotta dalla crisi dell'iconoclastia (726-843). Il concilio del 754 convalidò l'interdizione delle icone e la scomunica degli iconografi lanciata qualche anno prima da Gregorio III e dal concilio di Roma del 731. Durante questo periodo le immagini furono proibite e la maggior parte di esse vennero distrutte o imbiancate. Alla fine si ristabilì la legittimità della venerazione delle icone, come opposta alla loro adorazione.

Già il giudaismo rifiutava ogni rappresentazione divina rifacendosi alla legge mosaica (Es 20,4). I cherubini dell'arca dell'alleanza non costituiscono un trasgressione, perché sono modellati secondo il beneplacito divino (Es 25, 18-22). Per i greci, che adoravano il ritratto del sovrano, contemplare gli dei causa follia o cecità. Il culto delle statue cade sotto la critica dei filosofi. In questo contesto la parola eikòn (immagine) si colloca in effetti molto vicina a eidòoln (idolo). Per i romani i ritratti dell'imperatore, disseminati ai confini dell'impero, acquistano valore giuridico, perché equivalgono alla sua presenza. Ogni atto firmato davanti a uno di quei ritratti assume la stessa validità di una firma apposta davanti all'imperatore in persona.

La vittoria finale dell'Ortodossia (fede retta) giunge nell'843, dopo il settimo concilio di Nicea (787). L'11 marzo è considerato festa dell'Ortodossia e si celebra ancora oggi nella prima domenica di quaresima. L'argomento principale in difesa dell'icona era la tradizione che riferiva come l'impronta del Volto di Cristo sul Mandylion (il velo della "Veronica"che significa "vera immagine"), venne impressa sulla tela da Cristo stesso. Questo era, secondo una leggenda, siriana del III secolo, la prima icona, o "prototipo", dipinto senza l'ausilio di mani umane.

Questa impronta sul Mandylion è l'origine delle icone del Santo Volto di Cristo o "l'Archeiropoietos" del Salvatore: immagine fatta senza mani d'uomo, (Mc 14,58: "Io distruggerò questo tempio fatto da mani d'uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d'uomo").

Uno dei più grandi teologi che difese l'uso delle immagini durante la crisi iconoclasta fu San Giovanni Damasceno (di Damasco - 675-749), il quale paragonava il sacro "linguaggio" pittorico delle icone alla funzione teologica-narratia dei Vangeli.

Dal secolo IX al secolo XII ci fu una "seconda età dell'oro" e poi con i secoli XIV e XV, le icone Costantinopoli avevano raggiunto un alto livello di perfezione artistica dando vita alla ("terza età dell'oro" o "tardo" periodo bizantino). L'influenza bizantina si diffuse in Russia (convertitasi al cristianesimo nel X secolo), culminando con l'eccezionale pera del monaco russo Andrej Rublev (circa 1360-1430). Nel concilio dei cento capitoli (1551), la Chiesa Ortodossa russa stabilì che gli iconografi dovevano prendere esempio dall'opera di Rublev.

Quando nel 1453 Costantinopoli venne conquistata dai turchi ottomani, questo evento segnò la fine dell'impero, ma l'influenza bizantina continuò e a partire dal secolo XVI, Creta diventò il principale centro di iconografia greca.

Fino al III secolo, l'arte bizantina ebbe una notevole influenza anche in Europa, (in Italia vediamo le opere di Cimabue e di Duccio), che fu la base dalla quale si doveva sviluppare l'arte pittorica italiana in quel periodo a Firenze e a Siena.
Fondamento Biblico e Dogmatico dell'icona:

Il culto dell'icona, come il mistero fondante della fede cristiana, si basa sulla risposta positiva alla domanda: Il Cristo è veramente Dio e veramente uomo in una sola persona?

Ora se l'incarnazione è il fondamento dell'icona, l'icona testimonia l'incarnazione e l'icona di Cristo è l'icona per eccellenza. Gli iconoclasti si richiamano al divieto veterotestamentario, alla prima lettera di San Giovanni Nessuno ha mi visto Dio", 1Gv 4,12) e la versetto del Vangelo: "Dio nessuno l'ha visto mai" (Gv 1,18), ma passano sotto silenzio il seguito del medesimo versetto: "L'Unigenito Dio, che è nel seno del Padre, egli lo ha rivelato".

Con l'incarnazione, il Cristo mette fine alla legge mosaica e al divieto di ogni immagine. L'AT cede il posto al NT che rivelandoci una vera conoscenza di Dio, ci libera dall'idolatria prima inevitabile. Alla sola parola dell'antica alleanza, con l'incarnazione fa seguito alla visione. Il Figlio è l'immagine del Padre, come afferma Gesù stesso: "Chi ha visto me, ha visto il Padre" (Gv 14,9). Ma è lo Spirito Santo che dona la percezione di questa immagine del Dio Invisibile. La stragrande maggioranza dei contemporanei del Cristo non furono forse accecati, capaci solo di riconoscere il figlio del falegname Giuseppe?
L'icona nella vita quotidiana:

Gli ortodossi già nel battesimo ricevono un'icona del santo di cui portano il nome. Nel momento del matrimonio, il padri benedicono i giovani sposi con le icone e sono ancora l'icona ricevuta nel battesimo e quello della Vergine e essere portate in testa al corteo al momento del funerale.
L'icona nella vita della Chiesa:

Non si dimentichi che la casa di Dio riflette l'ordine del cosmo: il pavimento rappresenta la terra, la volta del cielo e l'abside l'unione tra i due: la liturgia celeste egli angeli e la comunione eterna dei santi. Le icone poste sui leggii sono offerte alla venerazione diretta dei fedeli, che all'entrata non si genuflettono, ma si segnano, fino a tre volte, in onore della Trinità.
I canoni dell'icona e il loro scopo:

Rappresentare il Cristo costituisce un compito temibile. Lo stesso si può dire per la rappresentazione dell'uomo, creato a immagine di Dio. Occorre evitare di falsarne i lineamenti, per il pericolo di cadere nella caricatura. E schernire l'immagine dell'uomo significa offendere Dio. Perciò la chiesa di'Oriente esige che gli iconografi si conformino a un insieme di canoni che ne garantiscono una continuità e un'unità dottrinale oltre le frontiere. Il tema dell'icona viene definito canonicamente, non è di competenza dell'iconografo. A differenza dell'arte profana, in cui il simbolismo si esprime con l'allegoria, il tema dell'icona non può essere il frutto di una elucubrazione intellettuale, perché rivela spontaneamente il mistero designato. Il 7° concilio ecumenico decreta nel 787: "Dal pittore dipende solo l'aspetto tecnico dell'opera, ma tutto il suo schema, la sua disposizione, la sua composizione appartengono e dipendono molto chiaramente dai santi padri". E nel 1551 il concilio moscovita dei Cento Capitoli dichiara: "Gli Arcivescovi e i vescovi, in tutte le città, in tutti i villaggi e monasteri delle loro diocesi, devono vigilare sui pittori di icone e controllare le loro opere".

"Il pittore di icone deve essere umile, dolce, pio, non chiacchierone, non ridanciano, non litigioso, non invidioso, non bevitore, non ladro; deve osservare la purezza spirituale e corporale".

"La ragion d'essere delle icone e di servire sia Dio sia gli uomini. L'icona è una finestra attraverso la quale il popolo di Dio, la Chiesa, contempla il regno; e per questa ragione ogni linea, ogni colore, ogni lineamento del volto acquistano un senso".

Angelo Vaccarella

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